Il fascino eterno dello Stadio dei Marmi

28 Maggio 2020

Nel nome di Pietro Mennea a cui è intitolato il Golden Gala e l’impianto circondato dalle statue. Dall’inaugurazione nel 1932, ai Giochi di Roma ’60, fino alla Diamond League

di Giorgio Cimbrico

Il Golden Gala Pietro Mennea nello Stadio dei Marmi Pietro Mennea il 17 settembre, cinque giorni dopo il Mennea Day, la scadenza che celebra, quest’anno per la 41esima volta, il 19.72 messicano, ancora e sempre record europeo, appena oltre il confine dei dieci più veloci di sempre. Il materiale che venne scelto da Enrico Del Debbio - il marmo di Carrara - sfida il tempo, i secoli, mantiene intatto il ricordo, la memoria, trasforma questa scelta in desiderio di rinascita, in bagliore sul buio che abbiamo attraversato.

Sorvegliato dalle sue cinque dozzine di muscolosi dioscuri, lo Stadio dei Marmi, progettato nel 1928, ultimato nel 1932 come terreno di pratica per gli allievi dell’Accademia di Educazione Fisica, ha visto, annotato e messo in archivio migliaia di immagini e di gesti, anche singolari: una finale del SuperBowl nostrano, una finale dell’altro rugby, quello a XIII, altrimenti etichettato come League, un concorso equestre di recente conio.

Sfogliando le pagine di storia e contando su qualche spezzone cinematografico, lo stadio e quei grandi pini a ombrello che finirono, di pari passo con le fontane romane, in due partiture sinfoniche di Ottorino Respighi, appaiono come sede e quinte di quel che può essere definito “trial” per le truppe americane. Nel giugno ’44, con colonna sonora affidata a un’orchestra militare e alla voce del siculo-ligure Frank Sinatra, si svolsero le selezioni per i giochi alleati che un mese dopo sarebbero stati ospitati dall’Olimpico posto a un tiro di sasso. Tra i partecipanti, Willie Steele che di lì a quattro anni si sarebbe trasformato nel primo olimpionico di salto in lungo del dopoguerra.

I Marmi sono un’incubatrice di sport: la struttura organizzativa di Roma ’60 li destinò a sede delle eliminatorie del torneo di hockey su prato, una delle tante discipline che gli italiani scoprirono in quell’occasione di svolta, di rinnovata cultura sportiva. Un torneo che si risolse in terremoto: dopo sei titoli consecutivi, in una serie iniziata nel 1928, l’India cedette il ruolo di prima potenza al Pakistan, eterno rivale anche nel cricket. L’hockey italiano avrebbe avuto quel luogo come punto di riferimento per molte stagioni.

La pista e le pedane sono diventate il terreno di debutto per intere generazioni di giovani e giovanissimi radunati dagli Studenteschi, dai Giochi della Gioventù, da leve atletiche promosse dalle società romane. Nell’86, in una fosca e umida giornata che coincideva con gli immediati sviluppi del disastro nucleare di Chernobyl, lo Stadio era il traguardo del campionato italiano di maratona: il titolo andò al bresciano Osvaldo Faustini e Gelindo Bordin ne uscì a pezzi. Si sarebbe ampiamente rifatto quattro mesi dopo a Stoccarda dando inizio al suo formidabile quadriennio.

Dalla fondazione del Golden Gala, nato dall’intuizione nebioliana dopo i Giochi di di Mosca ’80, i Marmi sono diventati il più sontuoso terreno di allenamento e di riscaldamento nel circuito dei grandi meeting. Su quella pista hanno preparato l’ingresso in scena i tenori e i soprano di almeno cinque generazioni. Gli armonici acuti di Hicham El Guerrouj sono tra i ricordi più belli, non ancora superati. E ora, in questi tempi ancora perigliosi, tocca al vecchio, piccolo stadio diventare palcoscenico. Ne ha la storia e le qualità.

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